Come si alimentano le fake news: il 75% dei post è condiviso solo in base al titolo
È di qualche giorno fa la clamorosa notizia dell’annullamento delle elezioni presidenziali in Romania per sospette ingerenze russe avvenute in campagna elettorale attraverso la comunicazione avvenuta sui social, in particolare TikTok. La disinformazione online è sempre di più un serio problema in grado di impattare in maniera determinante sulle nostre vite. In pratica, è dimostrato il potere del web e dei social di orientare, se non di manipolare, la massa degli utenti. A confermare questa minaccia è una ricerca condotta da un team della Penn State University, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista “Nature Human Behavior”. Dallo studio emerge che circa il 75% dei post condivisi sui social network viene rilanciato dagli utenti dopo averne consultato soltanto il titolo, senza leggere l’intero contenuto. Un dato che evidenzia in modo lampante uno dei principali meccanismi alla base della propagazione di fake news negli ecosistemi digitali, dove l’approfondimento sembra soccombere alla velocità e al coinvolgimento emotivo.
Nel corso dello studio, i ricercatori hanno analizzato oltre 35 milioni di post scambiati nell’arco di quattro anni su Facebook, utilizzando un sistema d’Intelligenza Artificiale in grado di individuare non solo i contenuti ma anche il profilo di chi li condivide. Risultato: quando il titolo concorda con l’orientamento personale o politico di un utente, la probabilità che questi diffonda l’informazione senza verificarne l’autenticità aumenta sensibilmente. In altre parole, il coinvolgimento ideologico funziona come un propulsore per la condivisione rapida e acritica, rendendo assai più difficile frenare la circolazione di contenuti potenzialmente falsi o manipolatori.
La situazione appare ancora più preoccupante se si considerano le ultime stime internazionali sull’impatto della disinformazione. Secondo il “Digital News Report” 2023 del Reuters Institute, ad esempio, circa il 60% degli utenti in Europa – Italia compresa – ammette di avere difficoltà a distinguere i fatti dalle narrazioni distorte. Inoltre, l’Edelman Trust Barometer segnala che la fiducia nei media tradizionali è in diminuzione, mentre cresce la percezione di un diluvio informativo fatto di dicerie, costruzioni volutamente ingannevoli e propaganda mascherata da notizia. Tale scenario mina la qualità del dibattito pubblico, influisce sulle scelte politiche e perfino sulle decisioni di carattere sanitario o ambientale, con rischi tangibili per l’intera comunità.
Gli autori della ricerca pubblicata su “Nature Human Behavior” suggeriscono alcune possibili soluzioni. Una, di tipo tecnologico, prevede l’implementazione di sistemi di allerta: ad esempio, inviare un messaggio agli utenti che stanno per condividere un contenuto senza averlo aperto e, parallelamente, informare chi lo riceve circa la mancata lettura integrale da parte di chi l’ha diffuso. Tale strumento potrebbe scoraggiare la condivisione superficiale, spingendo le persone a dedicare un minimo di attenzione in più prima di rilanciare un contenuto. Un simile approccio non eliminerebbe del tutto le fake news, ma potrebbe limitarne la diffusione.
Tuttavia, l’aspetto tecnologico non basta. Diventa fondamentale un intervento sul piano culturale ed educativo, a partire dalle scuole. L’introduzione di programmi strutturati di media education, già raccomandata da molte istituzioni internazionali e nazionali, potrebbe fornire agli studenti competenze utili a riconoscere fonti attendibili, a verificare i dati e a non fermarsi alle prime impressioni evocate dal titolo di un articolo. In Italia, e in diversi Paesi europei, alcune iniziative pilota hanno mostrato la loro efficacia: laboratori in classe, corsi di formazione per insegnanti, workshop sui linguaggi giornalistici e sul funzionamento degli algoritmi stanno diventando esperienze sempre più comuni. L’obiettivo è formare generazioni capaci di leggere criticamente i contenuti e interpretare i messaggi, agendo come anticorpi contro la proliferazione di notizie infondate.
In ultima analisi, contrastare la diffusione delle fake news richiede una strategia integrata: da un lato l’adozione di soluzioni tecniche per rallentare la condivisione acritica, dall’altro un robusto impianto educativo in grado di forgiare cittadini digitali consapevoli. Se è vero che la velocità e l’immediatezza possono rendere seducente la disinformazione, altrettanto vero è che una cultura della verifica, alimentata fin dai banchi di scuola, rappresenta la chiave per un ecosistema informativo più affidabile e responsabile.