Imprese e digitale: qual è la situazione del Paese?
Lo sentiamo da più parti. Lo dicono gli esperti: le tecnologie digitali rappresentano una componente strategica per la competitività dei Paesi. L’Italia ha destinato a progetti di digitalizzazione circa il 27% dei 235 miliardi di risorse comprese nel proprio Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza (222 miliardi) e nei fondi React-Eu (13 miliardi). Basteranno per trasformare l’Italia?
Il recente “Rapporto annuale 2021. La situazione del Paese” dell’Istat fotografa, come ogni anno, lo stato dell’arte, mostrandoci anche qualche squarcio di futuro, anche sul tema del rapporto tra imprese e digitalizzazione.
Qualche esempio? Tra il 2018 e il 2020 la quota di imprese che utilizzano servizi cloud è passata dal 23 al 59% e dall’11 al 32% per quanto riguarda i servizi evoluti, grazie anche agli incentivi fiscali contenuti nel piano Industria 4.0. Le politiche hanno favorito l’uso delle tecnologie digitali anche nell’automazione degli scambi di documenti attraverso l’emissione di fatture elettroniche: per questo aspetto, nel 2019 le imprese italiane risultano in vetta alla graduatoria europea (95%).
Le imprese italiane sono in posizione avanzata anche nell’uso di sistemi e dispositivi interconnessi a controllo remoto (Internet delle cose) e in linea con la media europea nel ricorso a strumenti di intelligenza artificiale e nella robotica.
Il sistema produttivo italiano è invece in ritardo nella diffusione del commercio elettronico e nell’uso di tecniche di analisi di big data; queste ultime nel 2019 sono state utilizzate dal 9% delle imprese italiane e spagnole con almeno 10 addetti, contro il 18% di quelle tedesche e il 22% di quelle francesi.
“Un tema che è significativamente cresciuto nella consapevolezza delle imprese durante la crisi è quello dell’offerta di servizi digitali dedicati alla clientela. Esempi comuni nell’esperienza dei mesi trascorsi in quarantena riguardano l’offerta pervasiva di newsletter, tutorial online, webinar, corsi a distanza, consulenze via web e servizi simili, spesso offerti gratuitamente dalle imprese al fine di mantenere i contatti e fidelizzare la propria clientela anche in una fase di distanziamento sociale” si legge nel rapporto.
Secondo la rilevazione dell’Istat, le imprese erano in grado di offrire questi servizi alla clientela, prima della pandemia, in misura limitata (8%). Secondo le intenzioni espresse, l’incidenza di unità produttive in grado di offrirli si triplicherebbe alla fine del 2021, anche se con rilevanti differenze tra le varie classi di addetti (58 per cento per le grandi imprese, 19 per cento per le microimprese).
Buone notizie arrivano dall’uso dei social: è viva la consapevolezza delle imprese, almeno di quelle che servono clienti finali, dell’importanza di una gestione efficace della propria presenza su questi strumenti (Facebook, Instagram, YouTube, TikTok): “Tali canali permettono un’interazione diretta e immediata con i clienti e consentono di alimentare il rapporto con essi mediante la costante offerta di promozioni, occasioni di acquisto, organizzazione di eventi anche virtuali o creazione di communities. Già prima della pandemia, il 45 per cento delle grandi imprese usava i canali social, mentre un ulteriore 15 per cento ne ha perfezionato l’utilizzo durante l’emergenza sanitaria: la previsione è che, a fine 2021, il loro utilizzo diventi uno standard per più del 60 per cento di imprese con oltre 250 addetti.Come per gli altri strumenti di comunicazione considerati, anche in questo caso l’adozione nelle imprese di minori dimensioni è assai più contenuta, ma durante la crisi l’incremento osservato è stato in media del 43 per cento”.
L’Istat parla, almeno per l’immediato futuro, di due strategie rilevanti per le imprese: la riorganizzazione dei processi e degli spazi di lavoro e un ulteriore sforzo di innovazione, indirizzato alla produzione di nuovi beni, all’offerta di servizi innovativi o all’adozione di nuovi processi produttivi.
La mente va dritta all’e-commerce: prima dell’emergenza sanitaria questo sistema di vendita era adottato in Italia dal 9,2% delle imprese con almeno 3 addetti (20% nel caso delle grandi). L’incremento favorito dalla crisi è stato nel complesso pari al 43%, senza differenze dimensionali.
E poi lo smartworking: nel corso del 2020 il lavoro a distanza è cresciuto molto, appoggiato da una ampia diffusione degli investimenti nelle tecnologie di comunicazione interna. Gli addetti in telelavoro sono passati da meno del 5% a gennaio 2020 al 20% di marzo 2020 (37% per le grandi imprese), segnalando la possibilità che il processo diventi irreversibile. Proprio come molti altri aspetti di questa rivoluzione digitale tutt’ora in corso.