Io sono Cultura 2020
I numeri dimostrano che la cultura è uno dei motori della nostra economia. E che lo stop generato dalla pandemia nel 2020 dovrà in qualche modo essere colmato. Parola di “Io sono Cultura 2020”.
La grande area metropolitana di Milano è al primo posto nelle graduatorie provinciali per incidenza di ricchezza e occupazione prodotte, con il 9,6 e il 10%. Roma è seconda per valore aggiunto (8,7%) e quarta per occupazione (7,9%) mentre Torino si colloca terza (8,1%). Seguono, per valore aggiunto Arezzo (7,6%), Trieste (7,1%), Firenze (6,8%), Bologna (6,1%) e Padova (6,0%).
Questi alcuni dati del X rapporto Io sono cultura, promosso da Fondazione Symbola, Unioncamere, insieme a Regione Marche e Credito Sportivo, con la partnership di Fondazione Fitzcarraldo e Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne, con il patrocinio del Ministero della Cultura. L’unico studio in Italia che, annualmente, quantifica il peso della cultura e della creatività nell’economia nazionale.
Nel 2019 il Sistema Produttivo Culturale e Creativo era in crescita e rappresentava il 5,7% del valore aggiunto italiano: oltre 90 miliardi di euro, cioè l’1% in più dell’anno precedente. Oltre il 44% di questa ricchezza era generato da settori non culturali, manifatturieri e dei servizi, nei quali lavorano oltre 630.000 professionisti della cultura. Il Sistema Produttivo Culturale e Creativo occupava più di un milione e mezzo di persone, vale a dire il 5,9% dei lavoratori italiani (dato in crescita su base annuale rispetto al 2018: +1,4%, con una performance nettamente migliore rispetto al complesso dell’economia).
Diversa, ovviamente, la foto dell’indagine condotta nel 2020, in cui il 44% degli operatori della filiera stima perdite di ricavi per il 2020, superiori al 15% del proprio bilancio, il 15% prospetta perdite che superano addirittura il 50%. A soffrire di più sono state le imprese dei settori performing arts e arti visive, quelle operanti nella conservazione e valorizzazione del patrimonio storico e artistico, per la maggiore esposizione alle norme di distanziamento sociale e molte delle imprese che rappresentano l’indotto culturale come ad esempio parte della nostra industria turistica.
Un dato in controtendenza è la presenza di settori in cui l’incidenza di imprese che dichiarano di aver sperimentato una crescita dei ricavi è tutt’altro che trascurabile: il settore videogiochi e software (avvantaggiato dall’allontanamento sociale che ha fatto crescere la domanda di intrattenimento domestico).
“Il nuovo ‘Bauhaus’, fortemente voluto dalla Commissione Europea – dichiara Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola – nasce per rinsaldare i legami tra il mondo della cultura e della creatività e i mondi della produzione, della scienza e della tecnologia e per guidare la transizione ecologica indicata dal Green New Deal e dal Next Generation EU. Cultura, creatività e bellezza sono la chiave di volta di molti settori produttivi di un’Italia che fa l’Italia e consolidano la missione del nostro Paese orientata alla qualità e all’innovazione: un soft power che attraversa prodotti e territori e rappresenta un prezioso biglietto da visita. Un’infrastruttura necessaria per affrontare le sfide che abbiamo davanti. Se l’Italia produce valore e lavoro puntando sulla cultura e sulla bellezza, favorisce un’economia più a misura d’uomo e, anche per questo, più competitiva e più capace di futuro come affermiamo nel Manifesto di Assisi”.
“Per il sistema produttivo culturale e creativo il 2019 si era rivelato un anno positivo, con risultati superiori al totale dell’economia in termini di occupazione (+1,4% rispetto a +0,6%) e dati in linea in termini di prodotto generato (+1% a fronte di 1,2%).” Lo sottolinea il direttore delle ricerche del Centro Studi delle Camere di commercio Guglielmo Tagliacarne, Alessandro Rinaldi, che aggiunge “purtroppo i risultati del 2020, misurati attraverso indagini dirette, ci restituiscono un quadro di grandi difficoltà, in cui due terzi delle imprese hanno diminuito il fatturato. Per contro va detto che la crisi pandemica ha però indotto una accelerazione della transizione digitale nelle imprese culturali e creative in una misura superiore rispetto alla media (13,8% contro 7,3%)”.