La scuola del futuro sarà sempre più digitale e la pandemia ha accelerato il processo di innovazione
“Se non è e non sarà anche digitale, la scuola non avrà futuro”, riferiva nel 2018 Luca Attias, commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda digitale. Con l’attuazione del PNSD (Piano nazionale scuola digitale) a partire dal 2015, in effetti, la cultura digitale è diventata fondamentale nelle nostre scuole grazie al lavoro di una grande community costituita da docenti animatori digitali (uno per ogni scuola), dai docenti dei Team dell’innovazione a supporto degli istituti, dagli Uffici scolastici regionali con i referenti del PNSD, dalle Scuole polo, dai docenti delle Equipe formative territoriali (100 insegnanti esperti individuati dal Ministero e sparsi in tutta Italia), ai Future Lab (18 centri in tutta Italia) che erogano formazione a migliaia di insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado. Si tratta di una grande “rete” che lavora, ogni giorno, con l’obiettivo di innovare il mondo dell’istruzione nel nostro Paese.
Può sembrare paradossale, ma la pandemia che stiamo vivendo, ha contribuito a velocizzare i processi legati all’uso del digitale nelle nostre scuole perché ha determinato un’accelerata degli investimenti in termini di innovazione sia dal punto di vista tecnico (acquisto e diffusione di nuovi device, sviluppo di programmi e piattaforme digitali, potenziamento delle connessioni) sia in termini di metodologie didattiche che si sono dovute adattare ai cambiamenti in atto: vedi Dad (Didattica a distanza), Ddi (Didattica digitale integrata) e Fad (formazione a distanza) per docenti e personale scolastico.
Quale sarà il futuro che aspetta la nostra scuola? Intanto occorre puntare sul presente, come ha giustamente sottolineato anche Salvatore Giuliano, dirigente scolastico, ex sottosegretario al Ministero dell’Istruzione e fra i fondatori di Avanguardie Educative durante lo speciale live trasmesso dall’Osservatorio nazionale sulla Comunicazione digitale sui canali facebook, youtube e linkedin di PA Social. E, soprattutto, occorre puntare sulla “concretezza” delle azioni da fare. Questo è un anno molto difficile per il settore dell’istruzione anche se la comunità scolastica ha risposto in maniera straordinaria all’emergenza in atto.
Non si può ancora dire che impatto a medio lungo termine potrà avere questo periodo sull’apprendimento dei nostri studenti e sulla loro crescita personale. Ci sono ricerche e statistiche che segnalano ritardi cognitivi, difficoltà nell’apprendimento della lettura e della scrittura e poi c’è il rischio dispersione. Dai dati diffusi da Save the Children, in particolare, a un anno di distanza dall’inizio della pandemia di Covid, bambini e adolescenti di tutto il mondo hanno perso in media 74 giorni di istruzione ciascuno, più di un terzo dell’anno scolastico medio globale di 190 giorni. Anche se parlare di perdita di istruzione, quando la scuola non si è mai fermata (lo ha fatto solo in presenza, continuando a distanza), potrebbe essere un giudizio fuorviante. Forse sarebbe meglio parlare di perdita di socialità e di relazione con l’altro. Anche perché sia educatori che pedagogisti sono d’accordo sul fatto che la scuola a distanza non possa sostituire, in termini di efficacia, quella in presenza, Ma è anche vero che la didattica a distanza non è stata applicata ideologicamente per contrapporsi alla didattica in presenza.
La Dad è servita (e sta servendo) come alternativa obbligatoria ad un stop necessario dovuto alla pandemia, soprattutto in questo momento in cui il Sars-Cov-2 sta dimostrando di essere ancora più contagioso e di colpire maggiormente i più giovani. Che la Dad sia, inoltre, un esperimento da non sottovalutare, lo ha dimostrato l’apprezzamento di Google nella kermesse dello scorso febbraio sull’educazione definendo l’esperienza italiana sulla Dad (nel primo lockdown) come “degna di nota”. E sulla Dad (o Ddi) bisognerà ancora puntare anche in futuro. L’ultimo DPCM del Governo Draghi ha stabilito una linea ancora più dura per la scuola, con gli istituti di ogni ordine e grado in didattica a distanza in zona rossa e anche in quei territori con 250 casi di positività ogni 100 mila abitanti.
Bisogna pensare alla Dad come ad una metodologia di attacco o di difesa per evitare l’ulteriore diffondersi dell’epidemia. Come ad una metodologia necessaria, alternativa e obbligatoria lì dove sia necessario proteggere la popolazione e quindi anche studenti e famiglie da un alto rischio di contagio. Dicono gli esperti che l’incidenza del Covid-19 nella fascia sotto i 20 anni abbia superato, per la prima volta da inizio pandemia, quella delle fasce adulte. L’incidenza a gennaio – febbraio è stata di circa 150 casi per 100 mila abitanti, mentre il valore più alto è stato registrato nella fascia 13-19 anni. Con questi dati, ovviamente, saltano tutte le misure di sicurezza programmate dagli istituti sin dall’apertura dell’anno scolastico, per non parlare della questione “trasporti” rimasta irrisolta.
Il sistema scuola “in presenza” è tutto da riprogrammare e la didattica a distanza sarà ancora una volta una soluzione strategica al problema, rafforzando, certamente, anche le misure e l’impegno per le fasce deboli e tutelando l’aspetto inclusivo. Il mondo è cambiato: lo abbiamo visto con la diffusione dello smartworking, con la formazione a distanza che ha riguardato tutte le università italiane, statali e private, con molti atenei pronti a strutturare la didattica in modalità “mista” anche dopo che questa pandemia sarà definitivamente superata. Forse è arrivato il momento di guardare in faccia la realtà e concentrare gli sforzi per migliorare le metodologie di insegnamento applicate attraverso la Dad così da sfruttare al massimo questo periodo storico in cui la scuola può diventare esempio di organizzazione, di evoluzione e di innovazione per la nostra intera società.