Passaporto vaccinale, meglio se è digitale
Un primo passo verso l’identità digitale?
La campagna di vaccinazione è ormai a regime: finalmente la luce in fondo al tunnel. Peccato che si proceda gradualmente, quasi a singhiozzo. Tra difficoltà logistiche e accordi infranti, sorge spontanea la domanda: che fare nel frattempo? Attendere l’immunità di gregge o ripartire intanto con chi può? La questione è spinosa, specialmente in termini economici. Un ritorno alla normalità, seppur graduale, potrebbe infatti risollevare le sorti delle economie nazionali. Purché, ovviamente, vi sia un modo sicuro e rapido per identificare le persone vaccinate. Ad esempio, adottando un passaporto di immunità.
Passaporto di immunità: cioè?
Cominciamo dalle basi spiegando che cos’è un passaporto di immunità. Si tratta di un documento che prova l’avvenuta vaccinazione del soggetto. Viene rilasciato da un’autorità governativa nazionale e -teoricamente- riconosciuto anche all’estero. Le versioni ad oggi proposte sono principalmente digitali. L’idea è di utilizzare lo smartphone come piattaforma di condivisione delle informazioni sanitarie. Arrivo al check-in, sfilo l’Iphone dalla tasca, mostro il QR code e accedo all’aeroplano. Facile, veloce e sicuro.
Gli attori coinvolti nel progetto sono principalmente tre: governi, organizzazioni internazionali e aziende informatiche.
Israele è il primo governo ad aver adottato i certificati di immunità. Si tratta di un documento digitale che, nei piani delle autorità, permetterà alle persone vaccinate di accedere a ristoranti ed esercizi pubblici. In futuro, potrebbe inoltre consentire ai cittadini israeliani di tornare a viaggiare. La Grecia, ad esempio, ha preso recentemente accordi con il governo israeliano per ristabilire gli spostamenti tra i due paesi. Ovviamente, spostamenti riservati alle sole persone in possesso del certificato.
Rimanendo nell’ambito dei trasporti, un altro attore interessato alle potenzialità del passaporto è lo IATA (International Air Transportation Association). Si tratta di un’organizzazione internazionale che, tra le diverse iniziative, lavora per digitalizzare la documentazione di viaggio. Con l’arrivo della pandemia, si è deciso di accelerare il progetto includendo anche i certificati di vaccinazione. La possibilità di tornare a viaggiare è infatti cruciale per la sopravvivenza delle compagnie aeree che lo IATA rappresenta. Anche in questo caso, l’idea è semplice: sviluppare una piattaforma digitale che attesti lo stato di immunità del viaggiatore. Un sistema simile, se riconosciuto a livello internazionale, potrebbe consentire alle persone vaccinate di viaggiare senza restrizioni.
La piattaforma proposta dallo IATA si basa sulla tecnologia blockchain sviluppata da IBM. Non è un caso: le potenzialità di mercato del passaporto di immunità sono innumerevoli. Rientra infatti nel più ampio settore dell’identità digitale, un mercato in piena espansione. Il prodotto sviluppato da IBM prende il nome di “Digital Health Pass”: un pass digitale che certifica l’avvenuta vaccinazione del soggetto tramite protocollo blockchain. Si tratta di una soluzione universale, utilizzabile in molteplici contesti oltre a quello strettamente aeroportuale.
I vantaggi
Chiarito che cos’è un passaporto di immunità e quali sono gli attori coinvolti, è lecito chiedersi: a che pro introdurlo? I vantaggi sono principalmente due.
Il primo, chiaramente, è un vantaggio di tipo economico. Identificare rapidamente le persone vaccinate permette di tornare alla “normalità”. Le virgolette sono d’obbligo: si tratta di una normalità riservata ai cittadini vaccinati. Rimane tuttavia l’unica soluzione per ripartire in sicurezza, senza dover attendere l’immunità di gregge. Ristorazione, intrattenimento e ospitalità -tre settori duramente colpiti dalla pandemia- potrebbero infatti riaprire per i vaccinati, previa verifica del loro passaporto sanitario. Si potrebbe addirittura azzardare un concerto, associando ai biglietti il certificato digitale di avvenuta vaccinazione.
Il secondo vantaggio riguarda la sicurezza. Nel corso del lockdown si sono verificati numerosi casi di falsificazione: persone che, pur risultando positive al virus, sono riuscite a viaggiare alterando l’esito dei tamponi. Un pezzo di carta stampato è facile da falsificare, specialmente se non c’è un modello riconosciuto a livello internazionale. Tutt’altra storia per un certificato digitale generato tramite protocollo blockchain e verificato da un lettore ottico. Non c’è possibilità di barare.
Le criticità
Sicuro e vantaggioso a livello economico: serve aggiungere altro? Sì, le potenziali criticità associate al passaporto di immunità.
Privacy. Sempre lei, l’elefante nella stanza. Quando si parla di tecnologia inevitabilmente si deve parlare anche di privacy. La certificazione di avvenuta vaccinazione è un documento medico, per definizione riservato e sensibile. Il processo di digitalizzazione espone inevitabilmente queste informazioni al rischio di violazione, specialmente se il provider della tecnologia è privato.
Le diseguaglianze. E’ chiaro a tutti che il vaccino non è democratico. Sul piano economico, le prime popolazioni a vaccinarsi sono anche quelle più sviluppate. Sul piano demografico, la priorità è data agli anziani. Sul piano sanitario, determinate patologie precludono l’accesso al vaccino. Insomma, non tutti avranno la possibilità di accedere al vaccino, o comunque lo riceveranno con un notevole ritardo rispetto a determinate fasce della popolazione. Il rischio, nel caso si opti per la “normalità” ad accesso limitato, è quello di aggravare le disuguaglianze sociali. La società dei vaccinati da una parte, liberi di vivere nuovamente; quella dei non vaccinati dall’altra, costretti a rispettare le restrizioni.
Le criticità, indubbiamente, vanno soppesate con i vantaggi.
Uno sguardo al futuro
Fin qui, si è parlato delle conseguenze nel breve periodo. Tuttavia, assumendo una prospettiva di lungo termine, la valutazione potrebbe cambiare.
Uno standard di certificazione digitale riconosciuto a livello internazionale è il primo passo verso la digitalizzazione dei sistemi identificativi. Si potrebbe partire dalla zona Schengen, sviluppando un passaporto di immunità comunitario. L’infrastruttura tecnologica e legale andrebbe quindi scalata per trasformare il passaporto di immunità nel primo documento digitale europeo armonizzato. Partendo dalle necessità del presente, si andrebbe quindi a realizzare l’infrastruttura identificativa del domani. L’azione coordinata dell’UE potrebbe inoltre incentivare l’adozione di protocolli simili anche all’estero, così come avvenuto in passato per il sistema internazionale dei passaporti.
Utopia? Forse. Ma come ci ha insegnato la recente pandemia, trasformazioni fino a qualche anno fa irraggiungibili sono oggi realtà. Che sia giunta l’ora dell’identità digitale?