L’innovazione può essere santa?
Don Luca Peyron lo trovate su Wikipedia. Ma anche sui social. Non tutti. Alcuni. Ma soprattutto lo trovate tra le aule (virtuali e non) delle Università di Torino e Milano dove insegna Teologia della trasformazione digitale o di Torino dove ha una cattedra di Spiritualità delle tecnologie emergenti. Il suo curriculum è articolato: è direttore dell’Apostolato digitale dell’Arcidiocesi torinese (“Il nostro compito è quello di riflettere, progettare e agire rispetto alla cultura digitale con un’ottica di fede”) e direttore della Pastorale universitaria.
I temi su cui lavora da anni don Luca riguardano il rapporto tra l’umano e il digitale, tra le istanze escatologiche e la tecnologia: “Chi siamo e chi siamo chiamati ad essere? Anche il nostro Paese ha ormai avviato un processo di digitalizzazione dell’identità burocratica (SPID) e i benefici sono evidenti, ma se a questi processi si aggiungono le comunicazioni manipolate e manipolanti della rete come è il bilancio? Siamo quello che ci restituiscono i social? E le nostre opinioni, che formano la nostra libertà, in base a cosa si formano? Quali algoritmi le gestiscono occultamente?”.
I temi affrontati sono la verità, la fede, la giustizia, l’identità, la libertà e la sicurezza. Grandi questioni che si incarnano (citando il libro “Incarnazione digitale. Custodire l’umano nell’infosfera” che don Luca ha pubblicato con la casa editrice Elledici) quotidianamente, nella vita di tutti, con la potenza della vita “onlife”.
“Santa innovazione: il digitale tra etica e tecnologia” è invece il titolo del live organizzato ieri dall’associazione PA Social con don Luca per indagare e scoprire nuovi approcci e nuove strade nell’uso del digitale, tentando anche un parallelismo tra alcuni concetti chiave della pubblica amministrazione da un lato e dell’apparato ecclesiastico dall’altro: dalla necessità di una sburocratizzazione all’esigenza di combattere a più livelli la povertà digitale, dal bisogno di una media education all’opportunità di rispondere alle esigenze che vengono poste.
“L’ambiente digitale rappresenta per la Chiesa una sfida su molteplici livelli; è imprescindibile quindi approfondire la conoscenza delle sue dinamiche e la sua portata dal punto di vista antropologico ed etico. Esso richiede non solo di abitarlo e di promuovere le sue potenzialità comunicative in vista dell’annuncio cristiano, ma anche di impregnare di Vangelo le sue culture e le sue dinamiche” ha affermato Papa Francesco e don Luca non ha perso tempo a cogliere la sfida, lavorando con le istituzioni e le realtà del territorio per far atterrare nel capoluogo piemontese la sede dell’Istituto italiano per l’Intelligenza artificiale. Cosa sarà l’I3A? “Una struttura di ricerca e trasferimento tecnologico capace di attrarre talenti dal mercato internazionale e, contemporaneamente, diventare un punto di riferimento per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale in Italia, in connessione con i principali trend tecnologici (tra cui 5G, Industria 4.0, Cybersecurity)” ha spiegato in una nota Palazzo Chigi lo scorso mese di settembre. Lo sguardo della Diocesi ha cercato di essere generativo e profetico per l’intero territorio, guardando cioè al di là dell’esistente per immaginare un inesistente fattibile: studiando le linee guida del Mise, don Luca ha fatto quello che i preti fanno da sempre: combinare matrimoni, in questo caso, tra istituzioni locali, enti intermedi e diverse realtà.
Don Luca parla di vision e mission in un’ottica di bene comune, parla dell’importanza determinante del linguaggio nella comunicazione digitale: “il digitale permette di dare voce a chiunque e allo stesso tempo, però, rischia di appiattire le nostre parole a frasi fatte e scatole vuote. Soprattutto nell’educazione verso i più piccoli dobbiamo quindi usare tutta la ricchezza del nostro parlare. A partire da come ci raccontiamo possiamo generare qualcosa insieme. Insomma, a volte un emoticon non basta. Per questo dobbiamo rendere umano il digitale e non rendere digitale l’umano”.