La ricerca scientifica nella lotta al Covid-19
Due nuove interviste completano sul canale YouTube dell’Università di Trieste la serie di videointerviste ai docenti la cui ricerca riguarda da vicino, e non solo dal punto di vista medico, l’impatto della malattia respiratoria acuta da SARS-CoV-2, meglio nota come Covid-19.
Nel momento in cui siamo alle prese con la seconda ondata pandemica, Patrizia Romito, docente di Psicologia sociale, e Giuseppe Borruso, docente di Geografia economico-politica, si uniscono alle voci di medici, genetisti, ingegneri, chimici, economisti e informatici, raccontando la propria ricerca e le sue ricadute per la cittadinanza.
La ricerca della professoressa Patrizia Romito si concentra sulla violenza domestica ai tempi del Covid-19, su quanto accaduto nella prima ondata dell’emergenza pandemica e soprattutto sul periodo di confinamento di marzo e aprile 2020, quando si è manifestata una forte preoccupazione sociale per la sorte delle donne vittime di violenza dal partner.
La coabitazione giorno e notte con il violento, l’aumento dello stress e l’oggettiva difficoltà per le vittime di rivolgersi ai servizi dedicati per chiedere aiuto, hanno fatto ipotizzare un aumento drammatico delle violenze.
Difficile, tuttavia, recuperare i dati numerici per la ricerca: non esistono dati, né in Italia né all’estero, che mostrino un aumento della violenza contro le donne nel periodo del confinamento. Nel nostro paese, le informazioni sono limitate e in parte contraddittorie. Se le chiamate al numero nazionale anti-violenza 1522 erano aumentate, secondo i dati del Ministero dell’Interno le denunce per maltrattamenti, violenze sessuali e stalking erano invece diminuite durante il lockdown. Secondo l’Istat, i femminicidi sarebbero diminuiti nel lockdown; tuttavia l’Istituto mette in guardia dal trarre conclusioni affrettate data l’esiguità dei numeri. È necessario disporre di dati affidabili: solo così è possibile comprendere in quali situazioni la violenza è più o meno frequente, quali sono le situazioni di maggior rischio e quali le misure preventive più efficaci.
Il confinamento di marzo e aprile è stato una sorta di esperimento naturale che ha permesso a Romito di analizzare, come sotto una lente di ingrandimento, cosa accade in situazioni di grande isolamento e co-abitazione intensiva, come è avvenuto per le donne che convivono con il partner violento o, all’opposto, cosa accade in situazioni di distanziamento rigoroso, come è avvenuto invece per le donne già separate dal partner.
Tutti ricordano che la scorsa primavera l’Italia è stata colpita dalla pandemia in maniera più precoce e più grave che in altri Paesi europei e anche in questa seconda ondata la situazione nel nostro Paese è drammaticamente grave, tanto che si cerca in tutti i modi di scongiurare un secondo lockdown nazionale, come già invece accaduto in molti paesi europei.
Perché prima l’Italia? È questa la domanda da cui è partita in piena emergenza pandemica la ricerca del professor Giuseppe Borruso che, assieme a un gruppo di scienziati di altri atenei italiani – ha messo in relazione la diffusione del virus in Italia con le particolari condizioni climatiche, atmosferiche, ambientali, geografiche ed economiche della Val Padana, evidenziando delle similitudini con quelle di Wuhan, in Cina.
Il gruppo di ricerca – composto da studiosi dell’urbanistica e della pianificazione, della geografia umana ed economica e della epidemiologia e della medicina – ha ricostruito un inedito indicatore di mortalità da SARS-Cov-2 a livello provinciale che ha confermato una mortalità superiore alle attese nel Nord Italia. Gli autori dello studio hanno osservato delle relazioni molto forti tra tasso di mortalità, scarsa qualità dell’aria e aumento del consumo di suolo, nonché con alcune caratteristiche dell’area, soprattutto l’ampia mobilità pendolare e la dimensione e la densità medie degli insediamenti.