Le parole che bloccano l’innovazione
Dobbiamo imparare a liberarci dalle restrizioni che alcune parole ci impongono. Prendiamo ad esempio la parola ‘ufficio’, la definizione del dizionario riporta “luogo in cui impiegati con compiti e funzioni specifiche compiono determinate attività”. Nel gergo quotidiano questa parola indica il luogo in cui lavoriamo, un luogo fisico, all’interno di un palazzo dove ha sede la nostra azienda, dotato di quattro mura, una scrivania, un computer, un telefono e, se siamo fortunati, un impianto di aria condizionata e una finestra possibilmente con un buon affaccio. Normalmente la frase ‘quando esco dall’ufficio’ indica che terminiamo il lavoro, che diviene così parametro delle ore di presenza fisica dentro a quelle quattro mura.
In questi ultimi anni, timidamente, alcune aziende dotate di lungimiranza, hanno sperimentato con i loro dipendenti un concetto di ufficio differente, dove il parametro di valutazione non è più legato al tempo ma al risultato. Ultimamente, causa Covid, anche le Pubbliche Amministrazioni, da sempre refrattarie a credere che i propri dipendenti potessero lavorare fuori dalle sedi istituzionali, si sono vedute costrette a mettere in pratica lo smart working, che fino a quel momento era una parola tabù negli ambienti pubblici. Qui la frase ‘vado in ufficio’ perde il senso e viene sostituita con ‘comincio a lavorare’. Non sono più costretto a sedermi di fronte alla scrivania dentro le quattro mura ma posso liberamente scegliere il luogo da dove prestare i miei servizi, potenzialmente cambiandolo ogni giorno.
Quanto ci opprime e imbruttisce la routine quotidiana? La mente umana, ripetendo ogni giorno le stesse azioni nello stesso posto, a poco a poco si spegne. La creatività che c’è in noi si affievolisce dentro quelle quattro mura che, senza accorgercene, viviamo ormai come una piccola prigione da cui ci è permesso scappare solo verso sera, potendo così risentirci liberi fino alla mattina successiva.
Ecco perché, dopo aver testato, obbligatoriamente, il lavoro agile, alcune aziende hanno deciso di protrarre l’esperienza anche all’affievolirsi dei contagi, avendo notato come i propri dipendenti fossero ringiovaniti mentalmente, fossero più propensi a trovare nuove soluzioni, convogliassero nel proprio lavoro maggiori energie, fossero più disponibili nei confronti dei colleghi e dell’azienda.
Il mio ufficio è il mio smartphone e il mio computer. Con questi due dispositivi sono in grado di lavorare ovunque, di essere reperibile, di partecipare ai meeting aziendali, di erogare formazione e formarmi attraverso i webinar, sia che io sia seduto sul divano di casa, sia che mi trovi su una panchina in una piazza o che sia seduto su un molo con la brezza marina che mi attraversa i vestiti.
Quelle quattro mura, che ci imponevano dei confini, con lo smart working sono crollate e crollando ci hanno aperto un nuovi orizzonti, fatti di scelte, di possibilità, ci hanno dato la possibilità di conciliare meglio la vita lavorativa con quella familiare, di stare di più a contatto con i nostri cari, di prenderci maggiore cura di noi stessi con un riflesso positivo sulla produttività.
Da oggi la parola ufficio non è più la stessa.
di Christian Tosolin